Come è noto, le Regioni Emilia Romagna, Lombardia e Veneto hanno, tra l’altro, chiesto al Governo forme ulteriori e condizioni specifiche di autonomia in materia di istruzione e formazione.
L’obiettivo è quello di regionalizzare la scuola e l’intero sistema formativo tramite una vera e propria “secessione” delle Regioni più ricche, che porterà a un sistema scolastico con investimenti e qualità legati alla ricchezza del territorio.
Si avranno, come conseguenza immediata, inquadramenti contrattuali del personale su base regionale; salari, forme di reclutamento e sistemi di valutazione disuguali; livelli ancor più differenziati di welfare studentesco e percorsi educativi diversificati.
Di fatto viene meno il ruolo dello Stato come garante di unità nazionale, solidarietà e perequazione tra le diverse aree del Paese; ne consegue una forte diversificazione nella concreta esigibilità di diritti fondamentali. La proposta avanzata dalle Regioni si basa sulle previsioni contenute nell’art. 116 della Costituzione, modificato dalla riforma del Titolo V approvata nel 2001, che consente a ciascuna Regione ordinaria di negoziare particolari e specifiche condizioni di autonomia.
Fino ad oggi quelle disposizioni non erano mai state applicate, essendo peraltro già riconosciute alle Regioni potestà legislativa regionale esclusiva e concorrente in molte materie; ora invece, nelle richieste avanzate da Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna, gli effetti dell’autonomia regionale ulteriormente rinforzata investono l’intero sistema dell’istruzione con conseguenze gravissime.
Vengono meno principi supremi della Costituzione racchiusi nei valori inderogabili e non negoziabili contenuti nella prima parte della Carta costituzionale, che impegnano lo Stato ad assicurare un pari livello di formazione scolastica e di istruzione a tutti, con particolare attenzione alle aree territoriali con minori risorse disponibili e alle persone in condizioni di svantaggio economico e sociale.
La scuola non è un semplice servizio, ma una funzione primaria garantita dallo Stato a tutti i cittadini italiani, quali che siano la regione in cui risiedono, il loro reddito, la loro identità culturale e religiosa. L’unitarietà culturale e politica del sistema di istruzione e ricerca è condizione irrinunciabile per garantire uguaglianza di opportunità alle nuove generazioni nell’accesso alla cultura, all’istruzione e alla formazione fino ai suoi più alti livelli.
Forte è la preoccupazione che l’intero percorso venga gestito con modalità che non consentono un’approfondita discussione di merito, dal momento che le Camere potrebbero essere chiamate non a discutere e a valutare, ma unicamente a pronunciarsi su ciò che le Regioni richiedenti e il Governo avranno precedentemente sottoscritto; tutto ciò con vincoli giuridici decennali.
Con l’introduzione dell’autonomia differenziata, che destruttura il modello configurato dalla Costituzione Repubblicana,si portano a compimento scelte politiche che più volte negli ultimi anni hanno indebolito le condizioni di vita delle persone e della società. A nulla valgono le rassicurazioni circa il fatto che alcune Regioni richiedenti non avrebbero in termini finanziari niente di più di quello che oggi spende lo Stato per i servizi trasferiti.
Quelle Regioni insistono in realtà nel voler stabilire i trasferimenti di risorse sulla base della riduzione del cosiddetto “residuo fiscale”, cioè la differenza fra gettito fiscale complessivo dei contribuenti di una regione e restituzione in termini di spesa per i servizi pubblici. Sarà quindi inevitabile l’aumento del divario tra nord e sud e tra i settori più deboli e indifesi della società e quelli più abbienti.
In tale contesto, dunque, una scuola organizzata a livello regionale sulla base di specifiche disponibilità economiche, rappresenta una netta smentita di quanto sancito dagli articoli 3, 33 e 34 della Costituzione a fondamento del principio di uguaglianza, cardine della nostra democrazia, e lede gravemente altri principi come quello della libertà di insegnamento.
La scuola della Repubblica, garante del pluralismo culturale e preposta a rimuovere ogni ostacolo economico e sociale è, e deve essere, a carico della fiscalità generale nazionale, semplicemente perché esprime e soddisfa l’interesse generale. Un Paese che voglia innalzare il proprio livello d’istruzione generale deve unificare, anziché separare: unificare i percorsi didattici, soprattutto nella scuola dell’obbligo; garantire, incrementandola, l’offerta educativa e formativa e le possibilità di accesso all’istruzione fino ai suoi livelli più elevati; assicurare la qualità e la quantità dell’offerta di istruzione e formazione in tutto il Paese, senza distinzioni e gerarchie.
Regionalizzare la scuola e il sistema educativo e formativo significa prefigurare istituti e studenti di serie A e di serie B a seconda delle risorse del territorio; ignorare il principio delle pari opportunità culturali e sociali e sostituirlo con quello delle impari opportunità economiche; disarticolare il CCNL attraverso sperequazioni inaccettabili negli stipendi e negli orari dei lavoratori della scuola che operano nella stessa tipologia di istituzione scolastica, nelle condizioni di formazione e reclutamento dei docenti, nei sistemi di valutazione, trasformati in sistemi di controllo; subordinare l’organizzazione scolastica alle scelte politiche – prima ancora che economiche – di ogni singolo Consiglio regionale; condizionare localmente gli organi collegiali. Significa in sostanza frantumare il sistema educativo e formativo nazionale e la cultura stessa del Paese.
Questa frammentazione sarà foriera di una disgregazione culturale e sociale che il nostro Paese non potrebbe assolutamente tollerare, pena la disarticolazione di un tessuto già fragile, fin troppo segnato da storie ed esperienze non di rado contrastanti e divisive. Per questo lanciamo il nostro appello ad un generale e forte impegno civile e culturale, affinché si fermi il pericoloso processo intrapreso e si avvii immediatamente una confronto con tutti i soggetti istituzionali e sociali.
Di fronte ai pericoli della strada intrapresa, intendiamo mobilitarci, a partire dal mondo della scuola, perché si apra un grande dibattito in Parlamento e nel Paese, che coinvolga i soggetti di rappresentanza politica e sociale e tutti i cittadini, come si richiede per una materia di tale importanza per la vita delle persone e dell’intera comunità nazionale. Contrastare la regionalizzazione dell’istruzione in difesa del principio supremo dell’uguaglianza e dell’unità della Repubblica è un compito primario di tutte le forze politiche, sindacali e associative che rendono vivo e vitale il tessuto democratico del Paese.
Roma, 15 febbraio 2019
Promotori
Sindacati
FLC CGIL, CISL Scuola, UIL Scuola RUA, Gilda Unams, SNALS Confsal, COBAS, Unicobas Scuola e Università.
Associazioni
ssociazione Nazionale “Per la scuola della Repubblica”, ACLI, AIMC, ANDDL, ASSUR, CIDI, MCE, UCIIM, IRASE, IRSEF IRFED, Proteo Fare Sapere, Associazione Docenti Art. 33, CESP, Associazione “Unicorno-l’AltrascuolA”, “Appello per la scuola pubblica”, Autoconvocati della Scuola, Gruppo No Invalsi, Link, Lip scuola, Manifesto dei 500, Rete degli studenti medi, Rete della conoscenza, Unione degli Studenti, Uds, Udu.
COME ADERIRE
Chi intende aderire all’appello può farlo CLICCANDO SUL SEGUENTE LINK oppure inviando una mail al seguente indirizzo
restiamouniti1@gmail.com
indicando nome, cognome, qualifica, provincia di residenza, scuola di servizio (se personale scolastico) oppure il nominativo dell’associazione
3 comments found
Edda Cerasi
Sono pienamente consapevole del processo in atto e non lo condivido.
Rodolfo
Cosdip (Comitato Scuola per il Diritto alla Pensione aderisce alla mobilitazione contro la regionalizzazione della scuola ,facendo proprie le motivazioni spiegate nell’articolo.
Per il Cosdip
Rodolfo
riccio teresa
Non condivido la regionalizzazione della Scuola Pubblica Statale.
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