Pubblichiamo un interessante articolo di Cosimo De Nitto apparso su http://www.retescuole.net
Reginaldo Palermo scrive su pavonerisorse.it un pezzo titolato “Buona scuola vs LIP“. Non so se l’ha deciso di proposito o gli è freudianamente scappato, ma il titolo è azzeccato, complimenti, considerata la data di nascita di entrambi i documenti.
La cosa che non emerge lungo tutto l’articolo è il fatto che la Buona Scuola è un documento politico-ministeriale di nessun valore giuridico, la LIP invece è una legge di iniziativa popolare discussa, approvata, formalmente firmata da più di 100.000 insegnanti, genitori, cittadini che, qualora il Parlamento decidesse, potrebbe già iniziare l’iter per la discussione e l’approvazione. La differenza, chiaramente, non è solo questione di forma, ma sostanza e non tenerne conto pregiudica già in partenza la valutazione e il giudizio.
In verità l’articolo non si distingue per profondità di analisi perché non entra nel merito dei problemi, si ferma solo alla superficie cogliendo gli aspetti che più sono stati appetiti, diffusi e consumati dai media (150.000 assunzioni e meritocrazia). Nel complesso si registra una sorta di quasi equidistanza critica (più accentuata per la LIP) che un mio amico definirebbe “cerchiobottismo”, aggravato dalla soluzione autoritaria finale che si propone quale quella di “una riforma anche contro la volontà della scuola stessa”.
Si sostiene che la “Buona Scuola” renziana è “irrealizzabile”, ma si aggiunge anche che i critici (i sostenitori della LIP a questo punto, come se ci fossero solo loro) sottopongono (colpevolmente, si immagina) Renzi&Giannini al “gioco del tiro al piccione”, ignorando il fatto che il tiro ad alzo zero lo fa per primo proprio chi ritiene quella proposta “irrealizzabile”. A questa critica ha già risposto Renzi, la “Buona Scuola” è un documento di indirizzo, parziale, limitato sia pure fondamentale, che per essere realizzato sarà “spacchettato” con il via a singoli provvedimenti legislativi, a cominciare da febbraio, che ne realizzeranno i vari punti progressivamente. La critica più pertinente, pertanto, appare non quella relativa alla “realizzabilità”, ma quella che vede un lento cambiamento di questo o quell’aspetto della scuola senza una legge organica di riferimento che ne fissi i principi ispiratori con i quali si dica in modo trasparente e chiaro quale idea di scuola si vuol realizzare e quali rapporti devono esserci tra questa e i principi costituzionali.
Il paradigma della irrealizzabilità, secondo Palermo, caratterizzerebbe, con l’aggravante utopica, anche la LIP che dice sì cose buone e interessanti, ma non rispetterebbe “le regole del gioco” “mettendosi di traverso”, come se la democrazia non fosse essa stessa una regola del gioco e il cui fondamentale e distintivo principio non fosse il “mettersi di traverso”.
Perché ciò che propone la LIP è “irrealizzabile”? Risponde Palermo: perché ci vorrebbero 8-10 mld. Ma 8 miliardi e rotti non sono i finanziamenti che sono stati tagliati alla scuola dalla Gelmini? O secondo lui è realistico pensare che alla scuola le risorse si possono togliere senza possibilità del contrario, cioè che possano essere restituite? Un principio di politica finanziaria e una dottrina davvero unici più che originali.
All’articolista, a mio avviso, sfuggono alcune cose che rendono difficile il mettere sullo stesso piano la Buona Scuola e la LIP, soprattutto perché l’unico parametro preso in considerazione è quello della compatibilità economica e di bilancio (realizzabilità). Si vede che ormai quasi tutti, Palermo compreso, si è ormai solo ragionieri ed economisti quando si parla di scuola, non c’è altro approccio, non c’è altro piano degno di essere preso in considerazione. Per esempio, non esiste la compatibilità costituzionale, non esiste la compatibilità professionale, la compatibilità pedagogica, la compatibilità evolutiva, la compatibilità formativa ed educazionale, la compatibilità contenutistica, la compatibilità sociale ecc. ecc. Niente, solo conto economico, il cosa fare, il perché fare, le regole, gli strumenti e l’organizzazione, i soggetti e i loro diritti, le condizioni, gli ambienti ecc. ecc. non interessano ai media e a chi chiacchiera di scuola; non alla LIP, però, che su questo è molto precisa con la sua visione olistica.
La Buona Scuola e la LIP sono due documenti diversi, appaiarli per differenze e/o similitudini e contrapposizioni rispetto ai loro costi che ne determinerebbero la “irrealizzabilità” è una superficiale riduzione della loro portata e significatività. Che la LIP sia una proposta di riforma organica basata su un solido impianto culturale, pedagogico, costituzionale, che la Buona Scuola sia una sommatoria di provvedimenti il cui unico scopo è quello di fidelizzare e rassicurare gli apostoli del merito, della privatizzazione, del decisionismo aziendalistico, di coloro ai quali prudono le mani in attesa messianica che venga finalmente realizzato il diritto dei dirigenti di assumere e licenziare chi vogliono loro, evidentemente a Palermo non dice granché, non è materia su cui valga la pena riflettere e da prendere in considerazione.
La riflessione di Palermo si basa su due assiomi: 1) che i soldi per la scuola non ci sono e non si possono (o non si vogliono?) nemmeno reperire (e questo sarebbe realismo secondo lui); 2) le riforme si possono fare solo solo se imposte dall’alto, (e questo sarebbe sano decisionismo secondo lui).
Al primo punto è fin troppo facile rispondere. Quando i soldi il governo li prende ai lavoratori, ai cittadini, ai contribuenti (tasse, accise, servizi ecc.), alla scuola (8 mld), alla ricerca, oppure per converso, quando i soldi non li prende alle mafie, agli evasori, agli affaristi, alle intermediazioni finanziarie, alle pensioni d’oro, alle liquidazioni d’oro, agli esportatori illegali di capitali, ecc. ecc. .. et voilà! i soldi ci sono, come ci sono per le missioni militari di “pace”(?), per armamenti che non servono, per le corruzioni, per operazioni tipo Alitalia (5 mld) ecc. ecc.. I soldi, per i nostri realisti più realisti del re, non ci sarebbero, dunque, solo quando si tratta di mettere a posto la scuola, la ricerca, la cultura. La LIP queste cose le sa, non ha bisogno che qualcuno gliele chieda o gliele racconti. Basta che il governo riservi alla scuola il 6% del PIL, che è il livello medio dei paesi OCSE, nessuna rivoluzione utopistica e visionaria, nessuna luna nel pozzo, solo un allineamento a quanto spende la media dei paesi OCSE, nemmeno i più spendaccioni, quelli che hanno investito su scuola, università, ricerca e che sono usciti per primi dalla crisi vincendo la sfida della globalizzazione.
Il secondo punto pone un problema di metodo, trattandosi di una differenza culturale e politica tra chi pensa che il cambiamento della scuola possa/debba solo avvenire “con” la scuola e chi la abita e non “contro” la scuola, come atto d’imperio del Parlamento che pure è stato eletto dai cittadini. La riforma della scuola non è un decreto amministrativo, una direttiva governativa o ministeriale, è un processo che va avanti solo se gli insegnanti e chi abita la scuola “si mettono di traverso”, fanno “il gioco del tiro al piccione” per rivendicare il diritto ad esprimere le proprie istanze, che sono poi quelle che riguardano la la propria vita, quella dei figli, del Paese intero.
Quando si ventila o auspica, come fa Palermo, “un Governo che decida di fare una riforma della scuola anche CONTRO (il maiuscolo è mio) la volontà della scuola stessa”, o anche quando si crede ciò possibile, siamo davanti ad un ostacolo difficilmente valicabile, l’ostacolo politico e culturale che divide chi crede nella democrazia come metodo e come sostanza del vivere comune, e chi invece crede che i cambiamenti possano avvenire solo dall’alto e “contro” qualcuno. I cittadini, i lavoratori della scuola non sono ostacolo al cambiamento, bisogna solo convincerli con le parole e soprattutto con i fatti concreti.
Ma questo pare non interessi molto a Palermo.