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Pia Valentinis

di
Marcella Raiola

Al sottosegretario Faraone, in attesa che venga “decretata” la fine della libertà di insegnamento

Definire la democrazia è cosa complicata. Applicarla e farla funzionare, ancora di più. Lo sapeva Erodoto, che si poneva il problema della capacità di discernimento della massa “non istruita”, e di come evitare che essa si gettasse sugli affari pubblici come un torrente fangoso in piena. La crisi permanente che ci avvolge e ricatta da anni e che, probabilmente, è stata escogitata e dilatata proprio per questo, ha dato modo ai governi di sospendere le garanzie, le regole, i diritti; di ammazzare, insomma, la Democrazia come sistema, la Democrazia “istituzionalizzata” e costituzionalmente validata, tant’è vero che Lei fa parte di un governo nominato a partire da una legge che la Corte Costituzionale ha dichiarato non conforme all’ordinamento democratico.

Quando muore la Democrazia, è già morta, di solito, la democrazia, cioè quel metodo microdiffuso di confronto e alta mediazione tra idee, soluzioni, valori, prospettive ed esperienze che viene spesso significativamente giustapposto e felicemente confuso con la Democrazia istituzionalizzata, perché si percepisce che esiste un’interdipendenza tra le due cose, ovvero una corrispondenza biunivoca per cui se manca il riconoscimento della democrazia come metodo di impostazione delle relazioni, di conduzione dei dialoghi, di esposizione dei pareri e di instaurazione di paralleli tra verità diversamente raggiunte e rivendicate, viene subito e istintivamente dichiarata anche la fine della Democrazia come modello politico. E non a torto, direi, né senza prove. Prove continue, anzi, come quella che il Suo governo sta dando, decretando “d’urgenza”, in modo del tutto antidemocratico, quindi, su una materia come l’istruzione pubblica, che richiederebbe invece un lavoro di ascolto e di sintesi dei contributi e dei punti di vista degli studenti, dei docenti, dei lavoratori, dei pedagogisti, delle forze sindacali e associative e dei genitori (per esempio quelli costretti a pagare un contributo “volontario” che ammonta a poco meno di un assegno di cassintegrazione, o quelli costretti a scegliere le private confessionali per mancanza di asili pubblici), nonché un dibattito parlamentare ampio e serio. A questo atto d’imperio dell’esecutivo sono puntualmente sottese dichiarazioni, le Sue, assai curiose e già sentite, già rintuzzate, che pretendono di interpretare il sentire dei docenti, di dirci ciò di cui sentiamo il bisogno, di fornirci, addirittura, un’autopercezione che non sapremmo elaborare da soli…

Quando le ho lette, soffermandomi, in particolare, sulle esternazioni relative alla funzione docente e alla secondo Lei non solo “necessaria”, ma anche auspicata gerarchizzazione dei professori, un amaro sorriso mi è affiorato alle labbra e subito ho attivato la ricerca nella mia mail-box, digitando “De Torre”, perché il Suo mi pareva un refrain… Ricordavo, infatti, di aver già sostenuto un confronto aspro e polemico con l’Onorevole Letizia De Torre, il Suo analogon  nel governo Monti.

Riporto, qui, poche righe da una delle risposte inviatemi dall’On. De Torre (il giorno 07/07/2012, per la precisione), perché penso che siano probanti e dirimenti per quelli che avessero ancora dubbi sull’omogeneità degli scopi e, quindi, sull’uniformità e ripetitività delle sottese argomentazioni, degli ultimi governi “eterodiretti”; le trascrivo, poi, anche per dimostrare l’accanimento interessato degli ultimi governi contro la Scuola, vista sia come potenziale nuova “piazza” di mercato, sia come sacca di “resistenza” da neutralizzare con ogni più specioso e infido mezzo:

“Ecco … volentieri rispondo a tre dei temi posti, quelli che mi paiono più importanti per voi e per la scuola; poi, se vorrete rispondermi, affronteremo altri delle tante questioni che ponete. … Innanzitutto l’autonomia: non so perché la chiamiate aziendalizzazione della scuola … Perché non dobbiamo avere fiducia che bravi docenti e bravi insegnanti sappiano portare avanti scuole di qualità?  Essi non sono impiegati dello stato, ma professionisti capaci di ricerca didattica e di innovazione. Da dove, il coordinamento dei precari, trova passione per la burocrazia ministeriale? cose tipiche di una dittatura più che di una democrazia…” .

Si riconosce, On. Faraone? Riconosce le Sue parole? Lei ha di recente scritto che i docenti”da tempo non si percepiscono come meri esecutori di compiti, ma come professionisti”, facendo da ciò arbitrariamente discendere la nostra smania di essere “valorizzati” secondo le modalità vigenti nell’azienda o nella caserma, e cioè: accrescimento del potere di controllo e ricatto di alcuni lavoratori su altri (il mentor e il prof. vocato al “middle-managment “) e accrescimento proporzionale della remunerazione di tali prescelti “caporali”.

Le rispondo con gli stessi argomenti che usai, all’epoca, per la Sua collega:

1) Abbiamo scelto di fare gli insegnanti perché quello dell’insegnante è per sua intrinseca natura e struttura un lavoro creativo, da professionisti liberi, liberi nei metodi usati, nell’orientamento fornito, nelle tecniche esperite o adottate, sicché la nostra percezione di noi stessi come di persone che non eseguono compiti dettati da altri ma predispongono attività e “compiti” a partire da una rigorosa e flessibile programmazione didattico-educativa è un presupposto della nostra scelta, non una conseguenza dello scontento per averla fatta!

2) Non esiste azione pedagogica o didattica che sia separata dalle materie insegnate e dal loro statuto epistemologico, sicché è ridicolo imporre a un docente di Matematica un “mentor” di Filosofia che pretenda di trasmettergli fenomenali strategie per potenziare il suo metodo o ottenere migliori risultati! Inoltre, la libertà di insegnamento è giusto la garanzia e il prerequisito dell’esplicazione di quella creatività e di quello sperimentalismo innovativo che dovrebbe portare a isolare dai “mediocri” i superdocenti di serie “A”… Mi spiega come potrà una scuola standardizzata, i cui rendimenti vengono misurati con uno strumento idiota, afflittivo e oggettivamente carente come i test INVALSI (al momento ripudiati e rigettati da tutto quel mondo anglosassone che pedissequamente e servilmente imitiamo), a stimolare docenti costantemente tenuti sotto ricatto e messi alla gogna a inventarsi strumenti e strategie nuovi? Non c’è logica, nel vostro piano! Il “genio” che idolatrate, “l’eccellenza” assoluta che affannosamente cercate di selezionare, incapaci come siete di capire che va relativizzata e parametrata sugli ambienti, sugli ambiti e sui punti di partenza di ciascun alunno/a, si nutre di libertà, di scarti, di eccessi, di sbagli trasformati, nel tempo, in punti di forza, non di crocette e canalizzazioni forzose del pensiero!

3) A Scuola ci insegnano, fin da piccoli, che non si possono sommare cose tipologicamente diverse, né valutarle in egual modo. Ce lo insegnano alle elementari, peraltro. Trasformare attività extradidattiche e organizzative del tutto estranee alla docenza in una “competenza aggiuntiva” da premiare con una (misera) gratifica stipendiale ogni morte di papa è un grossolano errore logico, prima che un vile tentativo di sfruttamento dei lavoratori e di mascheratura di un taglio alle risorse! Che i docenti svolgano funzioni e compiti extradidattici è una stortura del sistema, cui si deve ovviare assumendo funzionari specializzati o personale Ata! Che c’entrano, con la serietà e la qualità di un insegnante, attività che non hanno a che fare con l’insegnamento, ma con la gestione operativa e burocratica degli istituti? E’ come se, a un velocista che vincesse la corsa dei cento metri chiedessimo, prima di premiarlo per essere arrivato primo, di dimostrarci di saper anche riparare un tubo che perde acqua, o costruire la scheda-madre di un pc!

4) La nozione di “carriera” non ci appartiene né ci pertiene. Siamo già “arrivati”; siamo sulla cima più alta quando entriamo in classe e, prendendo spunto da una formula, da un verso, dalla stranezza di un fenomeno “naturale”, parliamo coi nostri alunni, lasciandoci mettere in crisi da loro ogni giorno, felici di essere costretti a verificare e provare le nostre conoscenze e, soprattutto, di dover dimostrare come queste conoscenze ci hanno cambiato la vita, perché se un docente non dimostra che il sapere gli ha reso la vita almeno sopportabile o almeno un po’ interessante, tutto il resto non serve e non vale a niente. Siamo padroni di noi stessi perché programmiamo il nostro lavoro, e siamo vincolati al lavoro dei nostri colleghi, con i quali articoliamo percorsi comuni, nel rispetto delle passioni singole, che in gergo si chiamano “materie”, che ci hanno portato a fare Scuola.

Se volete “valorizzarci”, chiedeteci qual è il valore che diamo al nostro lavoro, non imponeteci valori che non riconosciamo come tali.

Dissi all’On. De Torre e ora ripeto a Lei che non mi sento umiliata dal fatto di essere una “statale”, ma che sono orgogliosa, anzi, di lavorare per lo “Stato”, perché lo intendo non come un macigno che mi trascina al fondo della frustrazione, bensì come la cornice parificante e di diritto entro cui esplicare la mia funzione, esattamente come lo schema metrico è, per il poeta, non un’afflizione, ma il vincolo autoimposto grazie al quale ed entro il quale iberare la propria creatività e mostrare la propria bravura di artigiano della Parola.

State per gettare la Scuola nel drammatico e dissonante hiatus delle vostre distorsioni logiche e delle vostre inversioni valoriali. Forse espellerete dalla Scuola alcuni di noi “resistenti” alla sua trasformazione in una sala da gioco dove si bara costantemente, piena di urla impietose di croupier indifferenti, di urla esaltate di fortunati baciati immeritatamente da buona sorte e di urla disperate di esclusi condannati al fallimento; non sfuggirete, però al biasimo feroce e al rinfaccio doloroso dei vostri figli e dei figli di questo paese, che intendete condannare alla deterministica sterilità della disuguaglianza, e che non vi perdoneranno.

Marcella Raiola