IN: Lip Scuola

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Forse inutilmente ostinati, tentiamo di farle comprendere perché la Sua comunicazione, che abbiamo trovato negli ultimi giorni nelle nostre caselle di posta elettronica, ci appare davvero poco convincente, se non irricevibile.
Questo anche se Le dobbiamo dare atto di aver indicato in oggetto la sola carica che la Costituzione della Repubblica Le assegna, ovvero quella di Presidente del Consiglio dei Ministri.
Saprà certo, infatti, che – al di là delle semplificazioni mediatiche – il suo lontano predecessore, Ivanoe Bonomi, ripristinò la dicitura con cui Lei tuttora si firma, indicando la necessità che mai più (dopo i precedenti Capi del Governo, Mussolini e Badoglio) si realizzasse in Italia una concentrazione dei poteri su chi ha il compito di coordinare l’esecutivo. Vorremmo se ne ricordasse sempre.
La Sua comunicazione ci lascia perplessi perché è evidente – ce lo conferma anche la Sua contestuale performance su Youtube, con un video per il quale sono “prudentemente” bloccati i commenti e che sta per altro registrando al momento più pareri negativi che apprezzamenti – che i veri destinatari non siamo noi, maestri e professori.
La Sua lettera è in realtà indirizzata all’opinione pubblica, nel tentativo di carpirne un superficiale consenso, simulando un dialogo con chi ha scioperato il 5 maggio e ha messo in atto altre forme di dissenso nei confronti delle Sue politiche scolastiche, sia quelle in atto sia quelle futuribili.
Solo chi fosse molto ingenuo potrebbe infatti pensare che Lei sia davvero intenzionato a leggere le centinaia di migliaia di potenziali risposte, compresa la nostra; anche solo dal punto di vista del tempo necessario è evidente che non potrebbe fare altro.
Il che sarebbe certamente un bene in termini di dignità del lavoro e pratiche istituzionali autenticamente democratiche; ma è – appunto – impensabile.
Lo sappiamo bene noi, che siamo stati impediti da uno schieramento di forze dell’ordine in tenuta antisommossa dal consegnare al Ministro dell’Istruzione qualche centinaio di mozioni di collegi docenti che si esprimevano in modo negativo sul Suo piano in merito all’istruzione.
Lo sappiamo bene noi che abbiamo raccolto 100.000 firme a sostegno della Legge di iniziativa popolare per la buona scuola della Repubblica (ora disegno di legge alla Camera e al Senato), volta ad ampliare gli spazi di democrazia e di inclusione e a incrementare davvero le risorse; forse proprio per questo, nemmeno presa in considerazione dal suo governo e dai parlamentari del suo partito.
Non siamo convinti dalla Sua comunicazione perché troviamo assai poco confacente alla scuola – il luogo della crescita, dell’educazione, della cultura, della cittadinanza – la retorica propagandistica e paternalistica di cui è intessuto il Suo progetto fin dal momento in cui è stato varato e di cui l’email che abbiamo ricevuto è soltanto l’ultima, irritante e offensiva testimonianza, culminante in una chiusura che ricorda l’atmosfera di una delle molte – sempre più scadenti e stereotipate – fiction che liturgicamente vengono offerte all’amarcord collettivo sulla “buona scuola”: quella su cui tutti hanno opinioni accreditate per il solo fatto di averla frequentata o di vederla frequentare da parenti e affini.
Non siamo convinti dalla Sua comunicazione, infine, perché non ci appartengono alcuni dei valori che la sottendono, il primato dell’economia di mercato in primo luogo, passando per i continui e volgari ammiccamenti ai “soldi”, espressione che potrebbe forse funzionare al Bar dello Sport.
Noi studiamo, approfondiamo e ci appassioniamo, signor Presidente. Noi, perciò, per rubare la definizione ad un intellettuale non certo accusabile di comunismo, Giuseppe Prezzolini, apparteniamo alla “società degli apoti”, di quelli che “non se la bevono”. Le slides, le mail di falsa apertura, gli ammiccamenti, i racconti di sua nonna o della sua maestra, li lasci a chi le permette di incantare i suoi interlocutori con effetti speciali, un’interlocuzione a senso unico, una falsa semplicità dietro i quali risuona ancora il dileggio per la piazza che pochi giorni fa le ha chiesto di ritirare il ddl.
Un testo che siamo in grado di leggere, interpretare e giudicare senza la mediazione della sua “semplificazione” capziosa. Noi sappiamo cosa sta accadendo in Parlamento.
E sappiamo qual è la stella polare alla quale orientare le nostre convinzioni, del tutto assente nella sua proposta: la Costituzione italiana.

5 comments found

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    Serafino Busacca

    ….possiamo immaginare che le “cattive” tecniche della comunicazioni siano colpevoli di un imbroglio alla classe insegnante….ma ci pare importante sottolineare che il giovane, anzi giovincello, Renzi abbia nella sua testa un’idea della democrazia piuttosto singolare: a decidere è una minoranza che ha ottenuto la maggioranza delle adesioni….la democrazia non è questa…..la democrazia è partecipazione di tutti….anche se tale partecipazione allunga di parecchio il momento della scelta che è legato ad un lungo processo di mediazione……….il decidere non è un valore della politica: la risposta appare come allontanamento di masse umane dal fatto politico….insomma non vado a votare perché il mio voto rischia di essere ignorato in nome della semplificazione economica. La politica è un costante processo di mediazione nel quale, se non si ottiene una mediazione reale, si può evitare la decisione vera e propria. La disoccupazione giovanile non dipende dalla scuola e dai suoi processi cognitivi ma piuttosto dalle tasse che gravano sulle imprese e su una inefficiente politica della redistribuzione della ricchezza: insomma la scuola non favorisce l’occupazione…..e poi in una scuola come quella catanese dove non esistono industrie nelle quali eseguire esperienze lavorative l’idea di una scuola-lavoro è una astrazione totale…….insomma renzino modifica le strutture economico-sociali e dopo il rimanente……………………………………………………………………………………………………………………..

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    paola

    Mi sembra una buona risposta che integra pragmaticamente aspetti di contenuto e analogici di relazione.
    Questa è stata la mia risposta.
    Senza lavagna espongo i miei punti.
    1° punto: la scuola non è un’azienda e non deve fornire manovalanza a questa. Compito della scuola non è produrre oggetti di consumo e /o servizi, ma formare persone, cittadini, attraverso lo sviluppo della loro umanità e lo sviluppo di un senso critico che insegni a cercare, a chiedere, a verificare, a scoprire e non farsi imbrogliare e sfruttare dal primo incantatore.
    2° punto: non è cosa buona celebrare nozze con i fichi secchi; si parla di buona riforma quando questa migliora le condizioni precedenti istituendo risorse e fondi di cui disporre che non siano le solite briciole sbocconcellate per docenti con contratti pessimi, fermi da tempo immemore, scuole già immiserite e allo stremo a cui ogni docente sopperisce da sempre con le proprie risorse e la propria disponibilità.
    3° punto: Ogni innovazione necessita di chiarezza ideologica(idee e parole) e prassi(fatti) che devono essere coerenti per essere credibili. Purtroppo tra il dire e il fare c’è di mezzo …la politica che dispone, istituzionalizza, organizza, finanzia,… oppure no. Le idee non ci mancano, ci abbiamo lavorato in ogni luogo associativo e persino nelle nostre pensierose notti, di sabato, di domenica, in estate, sui nostri tablet, con i telefoni, i giornali, i corsi, ecc. Per elaborare buone pratiche è necessario riflettere e condividere, autovalutare e non essere valutati dall’alto, fare ricerca-azione: quanto viene disposta e incentivata questa? Le migliori sperimentazioni hanno portato a questa verità, appaiono come vessilli ma non si aprono strade sui percorsi individuati, perché inaugurare è più appariscente che praticare; si parla tanto di collegialità di cooperazione, collaborazione, ma l’impianto del DDL, questa politica, non favorisce in alcun modo queste prassi, anzi…
    4° punto: non esiste valutazione oggettiva. L’unico vero modo per conoscere un alunno è starci insieme, condividere il suo tempo e stabilire una relazione educativa. Troppe variabili incidono sulle competenze specifiche da lui maturate: il territorio al 50%, la famiglia al 25%, la scuola per il restante 25%; per non parlare di quanto siano determinanti le peculiarità e gli stili strettamente personali quali la logica, la comprensione verbale, i tempi, il funzionamento, ecc.
    Stessa unica prova di salto per canguri, pesci, lumache, elefanti per essere imparziali?: saper esaltare al meglio il meglio di ognuno è il compito dei docenti che sanno essere tali.
    E allora: saranno i risultati dell’invalsi a parlare della bravura dei docenti? O la preferenza di qualche valutatore(che conosce la didattica e la scuola?) e per quali aspetti?
    5° punto: non è finita qui ma è tardi, sono stanca dopo una giornata con un’uscita didattica, un collegio docenti e le storie di ordinaria resistenza che impegnano i docenti in ogni momento per pensare a contribuire al benessere della comunità scolastica per la quale io continuo a formarmi col mio denaro e con il mio tempo spendendo ben più di500 eurol’anno. E’ ora che vada a dormire o che cominci a pensare alle altre mie necessità ordinarie e familiari. Questo per dire quanto lavora ogni giorno ogni docente. Se c’è da cercare fannulloni da valutare che si cominci dalle proprie…camere e si adeguino i compensi.

    Siamo ormai abituati alla spettacolarizzazione della politica e il premier ha trovato un nuovo palco per apparire nei circuiti della scuola pensando di fare il maestro dei maestri ma con chi è avvezzo al senso critico e alla lettura di messaggi non verbali le manipolazioni parolaie non funzionano. Certo è che non appare nelle nostre scalcinate e irrequiete aule con classi pollaio che ospitano alunni suddivisi per assenza di supplenti dei quali le nuove necessariamente routinarie assunzioni comunque non arriveranno a coprire le minime necessità. Il premier ha ben compreso, (non è vero che non capisce, sa benissimo) l’ importanza dell’apparenza nell’epoca dei consumi mediatici e si avvale coerentemente di questa per nutrire un’immagine priva di consistenza, la sua, come quella che avranno i docenti nell’arena della “valutazione” di gradimento, con pollici direzionati, da parte di un superficiale pubblico di massa e di una dirigenza esterna e verticistica. Questa non può chiamarsi valutazione, è squallido giudizio di una sottocultura mediatica abituata agli show televisivi, retaggio di selvagge, tragiche quanto popolari, usanze romane. La vera formazione è ricerca, condivisione, valutazione autocritica e profonda, che non si impone dall’alto ma che si nutre con la valorizzazione, la dispensa di risorse per favorire la partecipazione. Esperti e trasparenti indicatori di formazione sono necessari. Formazione e valutazione… siiiii !!! … ma non cosi!

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    Franca Allegrezza

    Bella! Peccato utilizzare uno stile così alto per rispondere a un ciarlatano come l’impresentabile primo ministro Renzi!

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    ANNALINA BRINI

    sottoscrivo la lettera di risposta a Renzi – non aggiungo ormai altro

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    emanuele

    Credo che la professionalità dei docenti debba essere cospicuamente riconosciuta perché hanno un’importanza fondamentale. Credo che la scuola sia un luogo santo dove si crea cultura e dove si fonda il futuro di una nazione.
    Credo in tante cose, e per tutte queste cose sono anche esigente.

    Immaginavo che nel suo ruolo fondamentale il corpo docente adottasse un altro tipo di dissenso, in grado di saper scindere l’interesse personale e della categoria con l’equilibrio educativo della scuola. Che rimane un luogo pubblico, libero, atto a formare educare e crescere i miei figli come quelli di tutti gli Italiani.
    Immaginavo che il dissenso fosse nutrito da fondamentali domande seguite da risposte, o almeno da deduzioni.
    Ho letto il dll della buona scuola, ho ascoltato i pareri dei discordi, ho cercato controproposte, mi sono posto io domande, senza nemmeno sforzarmi troppo nel cercare le risposte.

    Una, tra le tante, è questa:
    Perchè, almeno nel merito della scuola dell’infanzia, nella maggior parte dei casi tra scuola privata e pubblica i genitori preferiscono o si sono trovati meglio nella prima e non nella seconda?. Perché in gran parte dei casi la scelta di un genitore se portare il proprio figlio al privato o al pubblico è puramente di natura economica?
    Lo chiedo a voi, insegnanti, maestri, corpo docente etc.
    Basta parlare, parlare con parenti, amici, conoscenti, alla fermata del tram, ai giardini, basta poco per arrivare ad una risposta, si chiama efficienza. Termine che include anche la professionalità.
    La vostra.
    A volte la si riconosce da piccole cose come accogliere un bimbo con un sorriso invece che con uno sbadiglio o uno sospiro, o da altri segnali di maggior importanza, come nei progressi continui del bambino, nel suo stimolo perenne a continuare a curiosare e scoprire, dagli incontri con i genitori in cui vengono esposti i lavori, le difficoltà , dove viene esposto un progetto e l’insegnante in questione ci segnala ogni aspetto, dalle difficoltà ai metodi per intervenire nella risoluzione degli stessi.

    Non volete essere valutati, non volete che sia a farlo un direttore scolastico, come non lo siano i genitori e gli studenti.
    Io invece, da padre, voglio farlo.
    Sedete su una cattedra il cui ruolo è troppo importante, delicato e decisivo sia per mio figlio che per il futuro della mia nazione per esimervi dal non essere valutati per il vostro operato.
    Non ditemi che le leggi per mandare a casa il fannullone o il cattivo insegnante che abusa degli studenti già esistono. Tra il girarsi i pollici e insegnare c’è di mezzo un mondo.

    Mi stupisce che voi stessi (gran parte di voi) nonostante viviate la scuola quotidianamente chiudiate gli occhi su quello che molti di noi hanno visto e vissuto nella nostra esperienza scolastica, sia come studenti che come genitori.
    Cioè, quell’esercito di docenti che non sapeva tenere una classe, che non era in grado di imbastire una conversazione con un alunno o un genitore, che facevano dieci minuti di lezione, venti di chiacchere e altri dieci di lezione, che facevano ricopiare intere pagine di testo e si ostinavano a dire che era un buon metodo di insegnamento. Per non parlare di quelli che parlano in dialetto in classe, di quelli sgrammaticati e potrei dilungarmi per non so quante righe.

    Io tutti questi non li voglio nella scuola. Non sono in grado di insegnare. Non sono in grado di fare cultura ne tantomeno di appassionare i miei figli. Poco mi importa che siano stati decretati abili e idonei da un diploma, una laurea, un concorso. Sapete benissimo anche voi che un diploma è una cosa, entrare in un’aula e insegnare a venti ragazzi è un’altra cosa.

    Io voglio che la scuola sia formata da docenti capaci. Voglio che i miei figli siano in buone mani.
    Mi importa poco che un’insegnante rischi di non essere più chiamato da nessun istituto.

    Che faccia altro, qualcosa che sia portato, in grado di fare. La scuola è pubblica, di tutti, non è solo sua, non è soltanto vostra.

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